Lo spazio tra cielo e terra

“È terribile sopravvivere

come coscienza

sepolta nella terra scura”.

I fiori sono i veri protagonisti di questo poema: “L’iris selvatico” (ilSaggiatore, 2020) di Louise Glück. ll libro è composto di diciotto poesie e due lunghe serie che rimandano alle funzioni religiose cristiane, quelle del “Mattutino” e del “Vespro”. “L’iris selvatico”, come nella poesia iniziale, racconta la propria nascita dalle tenebre della terra e, nella sequenza lirico-narrativa (mascherata da apparente semplicità formale, ma che cela al suo interno una notevole complessità di rimandi metafisico-teologici), la sua estasi nata dalla liberazione è un diretto riferimento al tema della rinascita: quello del mondo dell’anima. I dialoghi dei fiori, coltivati dalla giardiniera Louise Glück, sono alternati a quelli con il padre della creazione, un Dio “sbrigativo” come lo definisce il traduttore Massimo Bacigalupo, che non si imbarazza a ricordare la scarsità dell’importanza degli uomini al suo cospetto. Il tempo, tema sotterraneo che riaffiora in alcune pagine, si cristallizza nel ricordo, così come la scrittura si dissolve in una mattina estiva, sognanti di fronte a una finestra aperta sul giardino. L’infinito, spazio sospeso tra cielo e terra, rappresenta il problema del mezzo, ma la visione che si espande in esso porta a una certezza: “la vita non finirà mai più”.

Pubblicato da diem.dedalus

'in fondo è sempre la stessa vicenda, o la vita o la letteratura, o la letteratura o la vita...'

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