La relatività del fallimento. Su “Scavare” di Giovanni Bitteto

Giorgio Manganelli nel 1967 scrisse un libro dal titolo che suona come un imperativo: La letteratura come menzogna. Esiste, come ci insegna Borges (Finzioni, ad esempio), la ricerca del vero, un vero teologico, metafisico, ontologico, e questo materiale in letteratura non è altro che nutrimento del falso. A cosa servono le traiettorie geometriche, le simmetrie perfette dei sistemi architettonici del pensiero filosofico, di fronte alle mire sbilenche, claudicanti e incerte (irrazionali) della letteratura? O meglio, chi può dire che l’unico modo di organizzare il mondo sia quello della ragione illuministica? Il fallimento è l’origine della Letteratura, come in filosofia la meraviglia è condizione per la nascita del pensiero. Scrivere significa nutrirsi di menzogne, ingannare cinicamente con i mezzi dell’affabulazione il lettore, motore per l’aggregazione di altre menti da condurre nello stesso campo d’azione. Cosa resta delle avanguardie storiche? Del neorealismo, del pulp, della critica alla comunicazione, alla società dello spettacolo, del decadentismo? Di ogni scuola che si è affermata in un dato momento storico non sono rimaste che macerie, noi ereditiamo quelle macerie e, timidamente, proviamo a ricomporre il quadro, a muoverci tra le coordinate lasciate dai maestri della finzione. La maglia troppo stretta delle categorie non lascia spazio allo dispiegarsi della fantasia, alla sua effervescenza creativa: imbriglia il mondo nel morso del concetto, sistematizza e definisce. Quello che rimane di tutto questo è solamente la nuda vita. La nostra esistenza addomesticata si riflette lungo le stratificazioni dell’Io, omologati in nicchie e diversificazioni precostituite: non ci resta che scegliere, tra queste, di quale farne parte. 

A ognuno il suo, per stagliarsi dalla massa proteiforme e spiccare il volo, come Ulisse all’Inferno. La «Salaborsa di Bologna è una piramide che rispecchia gli strati del potere», scrive Giovanni Bitetto nel romanzo Scavare (Italo Svevo, 2019), mi piace pensare a questa immagine quando mi rivolgo al mio animo, quando cerco di allargare lo sguardo per inquadrare in una similitudine, o in una metafora, traendo dalle esperienze e dai luoghi in cui sono passato, le cose del mondo. 

Mi immagino salire lungo le scale della Salaborsa, come nella biblioteca di Babele, i vari piani della realtà, sino a raggiungere il culmine della visione e deflagrare con essa. «Sono due le azioni che può compiere l’uomo: scavare nel proprio animo o seppellirsi nelle cose del mondo », scrive Bitteto: indeciso tra le due, continuo a sovrapporre entrambe le cose. Questa «autobiografia aumentata» non è solo un dialogo con un amico scomparso, con i mostri del passato (come non pensare a Leggenda privata di Michele Mari), dei drammi famigliari, della materialità delle nostre condizioni che determinano scelte, privazioni e relazioni. Scavare è una elegia spirituale che imbastisce un dialogo tra la Letteratura e la Filosofia, e che prova a raccogliere quello che resta della Storia. Di questa totalità non può che restare un’opera in corso: «una infinita cognizione poetica, nel senso della poesia come perenne trasformazione della realtà».

Pubblicato da diem.dedalus

'in fondo è sempre la stessa vicenda, o la vita o la letteratura, o la letteratura o la vita...'

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